17 novembre 2007

Metroid Universe: psicosi cosmiche in medium Aran.

True Gamers are Metroid Addicted.
(di Luigi Marrone)

Dovrebbe essere un mondo fatto di connessioni questo, di super connessioni all-linked - Web 2.0 e multi-media users in real-time chat messengers.
Un mondo di Liste Amici in multi-player online, XBox Live e WiiConnect24 su PS Network in Home Second Life. L’universo Metroid è invece puro anacronismo d’oggi. Lo si vive disconnessi dal mondo, dagli affetti e dall’analogico tutto, come ad un’ossessione, una corruzione mentale.
I Wii-mote’s users trovano il proprio sogno, dopo quasi un anno, d’utilizzare il Wii come new-technology al servizio dell’intrattenimento ludico: é il miglior matrimonio possibile, una nuova tecnologia interfacciata ad un ambiente sci-fi che offre splendide evoluzioni interattive. Metroid Prime 3 dispiega in tal modo la sua più affascinante energia: nel suggestivo incremento sensoriale offerto dal Wii-Mote+Nunchuk l’esperienza si trasforma in una immersiva ossessione cervello intossicante, una (piacevole) psicosi video ludica. Svelare ogni suo anfratto, ogni suo angolo remoto intriso di suggestioni ambientali visive e sonore – mentre nel gamer un’esplosione rizomatica di contatti sinaptici ricorda location esplorate, scorciatoie e/o possibili percorsi verso direzioni preventivate – fanno di Metroid un’esperienza pionieristica mentale.
Il pensiero del Metroid gamer va infatti ristrutturandosi secondo i dettami organici dei Metroid stessi – brain-suckers che iniettano tossico Phazon nei contatti neurali – e ciò vuol dire che abbandonare l’esperienza anche solo per una settimana equivale a disintossicarsi dall’infuso di siero virtuale, con relativa difficoltà d'approccio ad una eventuale reprise. Allontanare Metroid per mesi comporta irrimediabilmente l’arrugginire della simbiosi ambientale con i suoi spazi virtuali: il rischio e l’eventualità saranno quelli di sentirsi alieni in un mondo alieno. To be Metroid Addicted vuol dire invece giocare isolandosi da tutto il resto, introversione che specchia e riflette esperienza introversa - una temporanea comunità di “non multi-player people” immersa nel Samus-Sé in esplorazione individuale quale prima missione ludica e soggettiva.
Il risultato é il solipsismo videoludico, il versante psicologico è il Samus-transfert.
Metroid diviene in tal modo una (piacevole) ossessione. Lo si ritrova nei sogni, ritornando ai suoi ambienti ancora da esplorare, all’olografia di mappe in wire-frame filled with colors da ruotare-zoomare-scandagliare per il 100% dell’esplorazione… Metroid lo si gioca dentro di sé oltre che fuori di sé, un’opera che fa dell’esperienza soggettiva il cardine su cui ruota attorno il proprio design, il proprio stile, il proprio ambient-sound e il proprio ludo-appeal.
Il pensiero torna al solipsismo del primo Metroid per NES del 1986, anni nei quali l’immergersi in atmosfere povere di dettagli era pratica suggestionata, più che dalla cosmesi grafica, dalla fruizione di film e letteratura sci-fi, con altisonanti nomi di videogames che irretivano l’acquisto previo acquisto di licenze da altri medium. Guidata dalla visione di Gunpei Yokoi e generata da un cosmico vuoto, Samus si sarebbe invece levata via il casco solo alla fine, rivelandosi donna senza mai esser stata nessun'altra cosa, prima di allora.
La metafora di un Metroid-ending è dunque la fine di un viaggio, esperienza soggettiva che vale un’epica d’intrattenimento, solitaria, come da qualche parte, da fonti perse nella memoria, ha scritto l’ormai storico Biagi : “La tua esperienza non serve agli altri: è una moneta che uno solo può spendere”.
Metroid è una moneta che si gioca da soli - da palombari in Phazon Iper-Fase, da Big Daddy Samus Aran in claustrofobia di casco e servomotori della propria suit – Wii-mote e nunchuk quali supporti vitali, alla scoperta di regni entropici.
Si prova solitudine in Metroid, una alienazione tecno-dipendente: l’add-on delle risorse tecnologiche della propria suit, uniche ancore di salvezza nel ritrovarsi vis a vis con Space Pirates da disintegrare nelle viscere di fredde, abbandonate strutture nell’universo, non muta affatto le cose: più si avanza, più in Metroid ci si continua a sentire soli, abbandonati.
Perché la forza di Metroid é giocata tutta nell’organicità di un individualismo che disegna ogni suo ambiente, per quanto ostile, velenoso o muto che sia, atto a stabilire una relazione psicologica intrisa di malinconica rarefazione mischiata a fredde sensazioni di un distopico futuro alieno, sospeso tra l’assenza d’affetto e l’organicità spaziale del cosmo.
Suggestioni che sostentano coordinate interiori auto-sufficienti al coinvolgimento psichico, autonome come i Drone-bot generati su Elysia dagli antenati Chozo.
Metroid è un essere senziente in attesa che venga svelato, vivendolo, il suo segreto game-design, affinché nulla resti tale all’interno di un ideale level design incarnato digitalmente in modo sopraffine grazie allo studio retrò dei Retro Studios.
Metroid va giocato sentendosi palombari in iper-fase, psicotizzati in Samus Aran's helmet – Wii-mote e nunchuk quali supporti vitali interfacciati al Nintendo Universe.
Metroid va rigorosamente giocato senza assumere altro, da soli e sino alla fine.
True Gamers Are Metroid Addicted.

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