(di Luigi Marrone)
Farlo accadere.
Indurre a credere nell'illusione che stia avvenendo nel reale, che i due mondi siano causalmente connessi, reciprocamente integrati.
Che sia conscio o meno, che sia il residuato di fascinazioni ed esaltazioni infantili, in fondo é questo il desiderio celato dietro la passione del vero game designer: dare l'illusione di una carne digitale in grado di farsi largo nella realtà, di sconfinare sul piano reale e viceversa. Hideo Kojima rappresenta un esempio fulgente: amante della con-fusione fra piano virtuale in-game e reale off-game, vale a dire ciò che viene fruito attraverso lo schermo con ciò che avviene/accade all'infuori di esso. Psycho Mantis in Metal Gear Solid muove il controller sul pavimento del videogiocatore attraverso poteri ESP, mentre il colonnello Campbell ordina al videogiocatore di spegnere la Playstation, ecc.
Prendiamo la serie di Konami sviluppata su GBA, Boktai. KonamiKojima vuole che i raggi solari reali ricarichino la Gun del Sol, la pistola del protagonista Django in Boktai 2.
Indurre a credere nell'illusione che stia avvenendo nel reale, che i due mondi siano causalmente connessi, reciprocamente integrati.
Che sia conscio o meno, che sia il residuato di fascinazioni ed esaltazioni infantili, in fondo é questo il desiderio celato dietro la passione del vero game designer: dare l'illusione di una carne digitale in grado di farsi largo nella realtà, di sconfinare sul piano reale e viceversa. Hideo Kojima rappresenta un esempio fulgente: amante della con-fusione fra piano virtuale in-game e reale off-game, vale a dire ciò che viene fruito attraverso lo schermo con ciò che avviene/accade all'infuori di esso. Psycho Mantis in Metal Gear Solid muove il controller sul pavimento del videogiocatore attraverso poteri ESP, mentre il colonnello Campbell ordina al videogiocatore di spegnere la Playstation, ecc.
Prendiamo la serie di Konami sviluppata su GBA, Boktai. KonamiKojima vuole che i raggi solari reali ricarichino la Gun del Sol, la pistola del protagonista Django in Boktai 2.
Dalle cartucce da inserire nello slot del Game Boy Advance fa capolino un sensore di rilevamento solare, in grado di ricare armi, forgiarne di nuove, aumentare l'intensità del sole filtrato nei dungeon e tante altre simili applicazioni. Si tratta semplicemente di un'idea, di un lascito creativo implementato nel game design, ma che analizzato in dettaglio è filosoficamente sottile più di quanto si possa immaginare.
Oltre l'ideale intimazione ad uscire da casetta propria per giocare, incrementando le possibilità di socializzazione e di fruizione degli spazi reali, Boktai richiede infatti la realtà affinché la realtà entri nel gioco.
Pensiamo un attimo a Nintendo Wii, please. Interazione motion-sensitive, wii-mote quale interfaccia che approfondisce la mediazione fra player e mondo di gioco: dimenticarsi di avere un controller fra le mani vuol dire necessariamente aumentare l'immersione nell'universo in-game affinché l'esperienza sia sensorialmente totalizzante: fuori uguale dentro, dentro uguale fuori.
Farlo accadere.
Indurre a credere nell'illusione che stia avvenendo nel reale, che i due mondi siano causalmente connessi, reciprocamente integrati.
Ciò che fa pensare è stato il dietro front attuato da Konami con Lunar Knights su Nintendo DS. Vuoi per l'assenza di giornate assolate in varie parti del globo, vuoi soprattutto per la tendenza dei players che per svariati motivi non preferisce giocare sotto il sole, Boktai non ha trovato un buon conforto commerciale. Tralasciando la possibilità di usare una cartuccia di Boktai nello slot GBA su DS (per sfruttare il sensore solare ed implementarlo nel gioco), oggi Lunar Knights supplisce al sole vero.
In quale modo? Niente di più semplice e ovvio: tornando al virtuale. Il sole di Lunar Knights torna infatti ad essere virtuale, una fonte energetica che accondiscende a diverse applicazioni, ma pur sempre ermeticamente virtuale, composta di codice binario, digitale, come il sole che scalda la surrealtà di un qualunque Super Mario, del sole che ammanta l'ambientazione fantasy di Shadow of the Colossus o quella di uno Zelda: un sole che proviene dal virtuale e che resta tale.
Il sole dentro Lunar Knights non è più traslato da una fonte reale metareferenziale: si tratta di luce lunare o solare artificiale che, filtrata da finestre, spiragli o varchi presenti nel gioco diviene fonte preziosa per ricaricare le armi di Lucian e Aaron, i due protagonisti.
Se prima si dovevano cercare, GBA alla mano, porzioni di luce da saccheggiare nel reale (seduti su di una panchina in un parco, sul proprio balcone di casa, a ridosso di una finestra esposta al sole) ora si è tornati a cercare le fonti direttamente nel gioco, diegeticamente. La sfida sta nel cogliere il nuovo messaggio di game design di KonamiKojima, il quale messaggio, mascherato da una necessaria funzionalità videoludica che decreti ora un incremento di vendite, in realtà esaspera e critica la mancata risposta della comunità videoludica al richiamo del vero sole.
Stando alla storia di Lunar Knights, i nemici dell'umanità chiamati Vampiri hanno difatti costruito un cielo artificiale attorno la Terra, comprensivo di un sole e di una luna artificiali. Si tratta essenzialmente di un sole e di una Luna digitali che provengono da una fonte di-gi-ta-le, vale a dire il codice del videogioco stesso.Quasi come se Kojima lasciasse intendere, dopo la mancata/svogliata ricerca del reale da parte dei players, che tutto ciò di cui la comunità videoludica merita/ha bisogno sia proprio questo: di restare confinata nel proprio mondo digitale, nonostante le vengano forniti strumenti, possibilità e interfacce innovative buone a valicare, mimetizzare i mondi in e off game.
Difatti, ciò che più fa riflettere dell'operazione Boktai è lo pseudo fallimento di un tentativo di sconfinamento videoludico, di un esperimento riuscito solo a metà, ma che diviene indice/testimone di quelli che sono gli orientamenti ontologici del videogioco stesso: divertire, intrattenere in un mondo fittizio, che questo simuli strettamente o meno il reale, ma che in fondo resti tale: illusorio, fittizio, puramente digitale.
I videogiochi garantiscono tendenzialmente l'incolumità fisica dei players, permettendo al contempo di incrementare l'esperienza di un vissuto puramente digitale regalando l'illusione di una esperienza reale. Di contro Boktai pretende che il videogiocatore ricerchi la realtà per lasciarsi giocare in pieno, che il videogiocatore senta il sole su di sé, che esca fuori dal proprio spazio domestico alla ricerca di ambienti congeniali al gioco.
I videogiochi garantiscono tendenzialmente l'incolumità fisica dei players, permettendo al contempo di incrementare l'esperienza di un vissuto puramente digitale regalando l'illusione di una esperienza reale. Di contro Boktai pretende che il videogiocatore ricerchi la realtà per lasciarsi giocare in pieno, che il videogiocatore senta il sole su di sé, che esca fuori dal proprio spazio domestico alla ricerca di ambienti congeniali al gioco.
A questo punto, visti i risultati, bisogna ancora credere che i videogiocatori, sempre preservando la propria incolumità fisica, vorrebbero vivere l'esperienza sensorialmente totalizzante di James Sunderland in una vera Silent Hill? Oppure guidare il Jehuty di Anubis sospeso fra la vita e la morte come Dingo Egret? Davvero un videogiocatore vorrebbe sensorialmente trovarsi, sul piano digitale, nella Mars City di Doom 3?
La passione, l'eclettismo e lo spirito di sperimentazione di un ricercatore quale Hideo Kojima pretendono la contaminazione dei due piani, reale e virtuale, ad onta di ogni resistente scetticismo della comunità videoludica. Gli sconfinamenti videoludici, oltre a sfociare in film, colonne sonore, action figures, gadgets o poster, invadranno in futuro sempre più il reale come Kojima ha videoludicamente preteso?
Oppure la lezione di Boktai è indicativa su dove il videogioco farebbe meglio a restare ancorato?
Il futuro delle esperienze video-interattive è quello di restare nei limiti delle stesse, quindi?
Comunque stiano le cose, Boktai e Lunar Knights rappresentano due indici di tendenza sui soffermarsi e riflettere.
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