(di Luigi Marrone)
Essere o non Essere sarebbe come dire Essere o Videogiocare?
Un interrogativo sui cui riflettere, non prima però d'aver tentato di trovare una definizione sul videogioco.
Video interazione ludica o videogiocare: pratica di interazione tecno-sensoriale con universi disincarnati (Esperienze Virtuali) capace di sublimare l’inconscio bisogno metafisico di proiettare l’Essere/Avatar/Divinità (qualificato come video-giocatore) all’interno di realtà espanse, tese a permettere esperienze di vita che preservano l’incolumità fisica del soggetto.
Stando a tale definizione viene da chiedersi: I videogiochi sono dunque solo pseudo simulazioni del reale che accondiscendono a varie funzioni psicologiche/sociali (intrattenimento, riflessione, catarsi)?
I videogiochi permettono rappresentazioni di interazioni quasi sempre non possibili sul piano materiale, ma prendono imperfettamente a modello il piano reale per simularne certe regole, stravolgendole.
Domanda: Gli accadimenti che avvengono nei videogiochi, dove accadono realmente?
Risposta: I videogiochi non accadono sul piano fisico/materiale della realtà tangibile.
Risposta: I videogiochi non accadono sul piano fisico/materiale della realtà tangibile.
Essendo composti di carne digitale, di realtà disincarnata (disembodied reality), i Videogiochi accadono nella mente, nel Ghost umano. I Videogames sono Esperienze dello spirito.
Mente/Spirito sono quindi gli spazi da indagare, vale a dire i "luoghi" di accumulazione di tutti i residuati post-esperienziali dell'uomo, quindi, anche delle sessioni di gioco.
Domanda: Qual'é la valenza di ciò che resta di un videogioco alla fine dell'esperienza?
La memoria umana determinatasi successivamente alla pratica di universi videogiocati é sacrosanta come quella deteminatasi per le esperienze di vita out-game, le quali esperienze vengono comunemente incensate come le uniche a detenere l'ontos necessario a costituire un memoriale d'uomo che si rispetti.
E' sorprendente infatti quanto possa essere diffusa l'opinione che il tempo trascorso a video-giocare equivalga a puro tempo sprecato. Tale generica convizione nasce da riflessioni piuttosto comprensibili, in quanto gli accadimenti che si verificano in un videogioco nel videogioco, manifestandosi sul piano meramente virtuale/digitale/immateriale, dovrebbero non costituire una realtà “fisica”, “concreta” e “reale” appunto.
Le esperienze videoludiche non possiederebbero quindi la legittimità di contribuire a formare la memoria di un uomo.
Detto in altri termini, é comune accezione sostenere che il vivere Esperienze VideoInterattive equivalga a Non-Vivere: i videogiochi annichiliscono il videogiocatore nell’indeterminato, e il tempo trascorso a video-giocare non rende un uomo tale nel senso più puro del termine, bensì una entità inutile, sospesa fra il vivere "passivamente " il mondo fisico e l'annullarsi attivamente all'interno di un Altrove immateriale.
Videogiocare é sinonimo di sparizione in un mondo dove non si Esiste: una prospettiva piuttosto agghiacciante.
Per musica/film/letteratura il discorso é drammaticamente diverso: i Videogiochi ne contemplano svariati aspetti, a volte sincronicamente e aggiungendo di proprio l'interattività, eppur questo non basta a scrollare dall'opinione comune l'idea che Videogiochi siano meno edificanti.
Eppure i video-interattori non hanno difficoltà a riconoscere come le esperienze di gioco che più vengono ricordate, impresse, sedimentate nella propria memoria sono quelle che hanno “più anima” o “più carattere” intesi come risultante di tecnica, fantasia, ideali, volontà e perché no, cuore di un team di lavoro il quale ha riversato nel codice il proprio operato attraverso le risorse tecnologiche disponibili nel tempo.
L’importanza artistica di un videogioco risulta quindi la somma e il prodotto finale di tutto ciò che, a livello di codice, è in grado emozionare, indurre a riflettere e a stimolare un dato videogiocatore.
Il dna genetico/digitale di una video-iterazione si fa dunque specchio della sensibilità artistica, della capacità tecnica e delle visioni dei game designers.
In altri termini, della Essenza artistica di un team di lavoro.
Ma questa Essenza infine, non proviene forse dall’uomo?
E in quale modo questa Essenza coinvolge il discorso sulla memoria?
Domanda: Qual'é la valenza di ciò che resta di un videogioco alla fine dell'esperienza?
La memoria umana determinatasi successivamente alla pratica di universi videogiocati é sacrosanta come quella deteminatasi per le esperienze di vita out-game, le quali esperienze vengono comunemente incensate come le uniche a detenere l'ontos necessario a costituire un memoriale d'uomo che si rispetti.
E' sorprendente infatti quanto possa essere diffusa l'opinione che il tempo trascorso a video-giocare equivalga a puro tempo sprecato. Tale generica convizione nasce da riflessioni piuttosto comprensibili, in quanto gli accadimenti che si verificano in un videogioco nel videogioco, manifestandosi sul piano meramente virtuale/digitale/immateriale, dovrebbero non costituire una realtà “fisica”, “concreta” e “reale” appunto.
Le esperienze videoludiche non possiederebbero quindi la legittimità di contribuire a formare la memoria di un uomo.
Detto in altri termini, é comune accezione sostenere che il vivere Esperienze VideoInterattive equivalga a Non-Vivere: i videogiochi annichiliscono il videogiocatore nell’indeterminato, e il tempo trascorso a video-giocare non rende un uomo tale nel senso più puro del termine, bensì una entità inutile, sospesa fra il vivere "passivamente " il mondo fisico e l'annullarsi attivamente all'interno di un Altrove immateriale.
Videogiocare é sinonimo di sparizione in un mondo dove non si Esiste: una prospettiva piuttosto agghiacciante.
Per musica/film/letteratura il discorso é drammaticamente diverso: i Videogiochi ne contemplano svariati aspetti, a volte sincronicamente e aggiungendo di proprio l'interattività, eppur questo non basta a scrollare dall'opinione comune l'idea che Videogiochi siano meno edificanti.
Eppure i video-interattori non hanno difficoltà a riconoscere come le esperienze di gioco che più vengono ricordate, impresse, sedimentate nella propria memoria sono quelle che hanno “più anima” o “più carattere” intesi come risultante di tecnica, fantasia, ideali, volontà e perché no, cuore di un team di lavoro il quale ha riversato nel codice il proprio operato attraverso le risorse tecnologiche disponibili nel tempo.
L’importanza artistica di un videogioco risulta quindi la somma e il prodotto finale di tutto ciò che, a livello di codice, è in grado emozionare, indurre a riflettere e a stimolare un dato videogiocatore.
Il dna genetico/digitale di una video-iterazione si fa dunque specchio della sensibilità artistica, della capacità tecnica e delle visioni dei game designers.
In altri termini, della Essenza artistica di un team di lavoro.
Ma questa Essenza infine, non proviene forse dall’uomo?
E in quale modo questa Essenza coinvolge il discorso sulla memoria?
Globalmente, si dovrebbe ammettere.
Immaginando che la fine di una esperienza videoludica (rimettere il software nella custodia senza riaprirla più) e la fine della vita di un uomo (chiuderlo dopo i dovuti riti in una bara per sempre) siano metafora della medesima azione, credo sia possibile giungere a formulare la seguente conclusione: così come il ricordo che si serba di una persona non corrisponde solo ed esclusivamente al suo aspetto fisico in life bensì annovera in sé quegli elementi affettivi che lo trascendono e che tornano a galla nel tempo facendo di quella persona una entità unica, inimitabile, non più materiale eppur vivida, palpitante e (in qualche metafisico modo) spiritualmente presente, lo stesso può dirsi di una coinvolgente esperienza videoludica che viene registrata nella memoria di un videogiocatore.
Emozionarsi nel ricordare l'immersione nella Shadow Moses di Metal Gear Solid (Playstation, 1999 - Konami) ed emozionarsi ad esempio nel ricordare l’amicizia con un conoscente che non esiste più fisicamente, informano della medesima: essenza, anima, spirito in entrambi i casi palpitano in colui che ricorda, in quanto depositario di tali esperienze.
Quello che con tutta probabilità è ancora da accettare è che l’immateriale (i mondi virtuali, nella fattispecie) possiedono la stessa legittimità d'esistere del fisicamente tangibile, e che i 2 piani infine sono facce della stessa medaglia in continua connessione.
Non esistono differenze ontologiche fra memorie video-ludiche e memorie non video-ludiche: si tratta pur sempre di memorie umane, che gli uomini videogiochino o meno. Da ciò ne deriva che il tempo dedicato a “video-giocare” non può, nemmeno concettualmente, essere considerato e vanificato come “perdita di tempo”, se non in modo spregiativo (e sempre contestualmente ad una determinata opera) per la qualità delle esperienze videoludiche vissute (leggasi, il tempo trascorso con un pessimo videogioco equivale al tempo trascorso con una persona ottusa, ridondante e che non ci lascia nulla: a waste of time).
Resta il fatto che la vita fisica che interagisce è una sola, ma le vite virtuali da esperire possono essere tante, molte, troppe a volerle "vivere" tutte.
Ma qualunque sia la qualità dell’esperienza che offrono si tratta di vite non delegittimabili causa la loro fonte originaria e il loro ontos costitutivo (Uomo, game designer o video-giocatore che sia).
Immaginando che la fine di una esperienza videoludica (rimettere il software nella custodia senza riaprirla più) e la fine della vita di un uomo (chiuderlo dopo i dovuti riti in una bara per sempre) siano metafora della medesima azione, credo sia possibile giungere a formulare la seguente conclusione: così come il ricordo che si serba di una persona non corrisponde solo ed esclusivamente al suo aspetto fisico in life bensì annovera in sé quegli elementi affettivi che lo trascendono e che tornano a galla nel tempo facendo di quella persona una entità unica, inimitabile, non più materiale eppur vivida, palpitante e (in qualche metafisico modo) spiritualmente presente, lo stesso può dirsi di una coinvolgente esperienza videoludica che viene registrata nella memoria di un videogiocatore.
Emozionarsi nel ricordare l'immersione nella Shadow Moses di Metal Gear Solid (Playstation, 1999 - Konami) ed emozionarsi ad esempio nel ricordare l’amicizia con un conoscente che non esiste più fisicamente, informano della medesima: essenza, anima, spirito in entrambi i casi palpitano in colui che ricorda, in quanto depositario di tali esperienze.
Quello che con tutta probabilità è ancora da accettare è che l’immateriale (i mondi virtuali, nella fattispecie) possiedono la stessa legittimità d'esistere del fisicamente tangibile, e che i 2 piani infine sono facce della stessa medaglia in continua connessione.
Non esistono differenze ontologiche fra memorie video-ludiche e memorie non video-ludiche: si tratta pur sempre di memorie umane, che gli uomini videogiochino o meno. Da ciò ne deriva che il tempo dedicato a “video-giocare” non può, nemmeno concettualmente, essere considerato e vanificato come “perdita di tempo”, se non in modo spregiativo (e sempre contestualmente ad una determinata opera) per la qualità delle esperienze videoludiche vissute (leggasi, il tempo trascorso con un pessimo videogioco equivale al tempo trascorso con una persona ottusa, ridondante e che non ci lascia nulla: a waste of time).
Resta il fatto che la vita fisica che interagisce è una sola, ma le vite virtuali da esperire possono essere tante, molte, troppe a volerle "vivere" tutte.
Ma qualunque sia la qualità dell’esperienza che offrono si tratta di vite non delegittimabili causa la loro fonte originaria e il loro ontos costitutivo (Uomo, game designer o video-giocatore che sia).
I mutamenti del corpo nel tempo sono flebile, lieve testimonianza rispetto a ciò che accade nello spirito: dolore, rabbia, gioia, malinconia… le pieghe delle emozioni galleggiano sulla superfice del corpo, sui volti e sulle emotive umane, ma lasciano intravedere un infinitesimo barbaglio della complessità delle loro forme interiori.
Il libro della memoria di un uomo si scrive dentro, e concerne l’anima, non il corpo.
Il corpo indossa i segni del tempo, si veste di convenzioni, di condizionamenti sociali, e ricorre ai simboli stilistici dell’abito a sintesi di una presumibile interiorità.
Il corpo è minima cronistoria di un memoriale d’uomo.
Le ore di gioco trascorse in cyberspazi videoludici nonché le esperienze di vita "reale" off-game scrivono e depositano dentro l'uomo gli accadimenti che poi diverrano memoria.
Il libro della memoria di un uomo si scrive dentro, e concerne l’anima, non il corpo.
Il corpo indossa i segni del tempo, si veste di convenzioni, di condizionamenti sociali, e ricorre ai simboli stilistici dell’abito a sintesi di una presumibile interiorità.
Il corpo è minima cronistoria di un memoriale d’uomo.
Le ore di gioco trascorse in cyberspazi videoludici nonché le esperienze di vita "reale" off-game scrivono e depositano dentro l'uomo gli accadimenti che poi diverrano memoria.
Le Video EsperienzeI nterattive contribuiscono al testamento interiore umano, assieme alle esperienze di vita out-game, poiché videogiocare comporta il vivere vite interiori, vite trascese, vite Altre rispetto a quelle "reali": per quanto virtuali si tratta pur sempre di vite, di Tempo di vita, dislocate in dimensioni OBE, out-body experience, fuori dal corpo fisico quindi.
Ma la legittimità é la medesima.
Ma la legittimità é la medesima.
Da qui nasce l’imperativo categorico di giocare bene.
E a proposito delle vite quindi, virtuali o meno che siano, di viverle dignitosamente per non sciupare il proprio tempo.
Essere o Videogiocare… si tratta in fondo della stessa e identica cosa.
E a proposito delle vite quindi, virtuali o meno che siano, di viverle dignitosamente per non sciupare il proprio tempo.
Essere o Videogiocare… si tratta in fondo della stessa e identica cosa.
Il videogioco é esattamente il contrario del tempo sprecato.
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