15 agosto 2007

Lo "sparare" nei videogames: metafora di cosa?

Un momento epifanico
(di Luigi Marrone)

Sparare é un atto violento. Un atto che presume un'offesa, dalla quale raramente si esce incolumi. Ma più che dell'atto morale in sé, videoludico o meno che sia, lo "sparare" cosa significa? Qual'é il suo ruolo psicologico? La sua funzione, per il videogiocatore, é forse indice, metafora che esprime qualcos'altro?
Nelle programmazioni di un cinema multisala è raro non vedere in tabellone almeno una locandina di un action movie con un tizio che impugna un'arma. In uno scaffale zeppo di videogiochi poi tale eventualità è obiettivamente impossibile.
Sin dai propri albori il videogioco ha proposto la rappresentazione simulata di meccanismi di difesa e offesa: sparare per frantumare meteoriti, sparare per respingere alieni, sparare per difendere postazioni terrestri, sparare per colpire evitando al contempo di essere colpiti. L’interazione è elementare, il meccanismo nitido, semplice e perfetto: puntare l’arma e Sparare.
Le cover-art videoludiche con personaggi che brandiscono pistole/fucili/mitra/cannoni sono da sempre una realtà imprescindibile: l'icona Lara Croft, il brand Resident Evil, i vari FPS...
Gettando una veloce occhiata alla mia ludoteca e soffermandomi sulla prima di copertina scorgo Chris Redfield nel primo Resident Evil: non ha una pistola, bensì un cannone fra le braccia. Lara Croft ne ha 2 di pistole. Armati e pronti a fare fuoco si presentano Solid Snake, Psi Ops, Turrican, Sam Fisher, Jim Power, Leon Kennedy e le posture sensuali (ma sempre armate) di Ada Wong, e poi Cold Fear, Halo, Fear Effect 2, Battalion Wars, Killer 7, Gears of war, Metroid, GTA e Devil May Cry e tanti altri miriadi di milioni di titoli passati e quelli che in futuro verranno.
Brandire un'arma.
Puntare un'arma per difendersi da qualcosa o qualcuno.
Sparare.
Film e videogames, caratterizzati da una forte evidenza pubblicitaria e dalla relativa informazione visuale quanto più possibile incisiva (imposta da un marketing ad hoc) quasi sempre presumono un’esperienza caratterizzata da un annichilimento delle possibilità pacifiste e patteggiatrici a favore di una posizione risolutiva dal carattere militare.
Sparare.
L'atto dello sparare.
Difendersi dalla minaccia con un'arma.
Ricaricare e sparare.
Ma questa minaccia, in realtà, dov'é? Dove nasce? Cos’è?
Ovunque nella rete l'assediamento pubblicitario di videogames caratterizzati da nichilismo e potenza…. gli avatar armati degli utenti sui blog... le copertine delle riviste videoludiche... le locandine cartonate nei game-center... web screenshots... video-trailer di videogames... sequenze velocissime... CUT... i trailer nei cinema... sequenze velocissime di montaggio... boati di appartamenti che esplodono... CUT... Resident Evil 5... occhi determinati del protagonista... pistole che fanno fuoco... sparare... fare fuoco con un'arma.... ricaricare... sparare... sparare...
Sparare.
E' stato durante un barbaglio d'improvvisa lucidità che mi è parso di poter intuire, di poter afferrare, di poter comprendere il senso e l’essenza di tutto questo. Non é facile descrivere il momento in quanto si è trattato di una improvvisa sensazione più che di una ragionata riflessione, ma dentro quell'attimo d'epifanica comprensione ho sentito come se tutto questo sparare, tutta questa possibilità di far fuoco ammantata da una cosmesi sempre più realistica si riducesse in fondo ad una scossa palliativa, ad un brivido, ad una ludica virtuosità buona a regalare ai gamers, l'illusione svagante di vivere un’esperienza con uno scopo esistenziale emotivamente elettrizzante, che remi contro una realtà individuale altrimenti scarna di forti bussole, allagata di routine e di noia, manchevole di edificanti obbiettivi e deficitaria di un senso esistenziale sentito con forza.
In quel momento, da pessimo player, è stato forte il chiedermi se la maggior parte dello "sparare" nei videogiochi e tutte le pose e le armi impugnate dai protagonisti in copertina non fossero altro che una metafora della
semplice
mera
difesa
dai nostri timori del vivere.
Oltre che per contestualizzare un ambito di agenza videoludica quindi, mi sono chiesto se l'intrattenimento digitale pervaso dalla maggior parte dei personaggi che puntano armi e dal grilletto facile non fosse altro che una metafora di quell'ampio dramma esistenziale che caratterizza l'uomo in generale all’interno di una profonda mancanza di - forti - obbiettivi - esistenziali.
Il videogioco come valvola di sfogo si sente spesso dire, ma sfogo da cosa in realtà? Forse dall'abrasiva austerità del vivere fatta per buona ed evidente parte di insincerità, di rapporti di lavoro basati sul potere, di malafede e di cronache nefaste causate da illogiche pazzie? Quel vivere fatto di competizione, di arrivismi e invidie alimentate dalle disparità non-democratiche inoculate nella società da occulte ma operative oligarchie?
Sparare come azione/sublimazione del malessere (dis)umano del nostro vivere?
Sparare come metaforica affermazione biologica del proprio essere maschile, del rilasciare il proprio seme/proiettile verso il buio-domani, verso l'uterino buio, il non-luogo al quale si tende e dal quale si proviene?
O magari semplicemente premere il grilletto e sparare come esorcizzazione di un vivere che fa semplicemente paura, per la paura stessa insita nel vivere?
E ancora, sparare come reazione al timoroso disagio generato dai fantasmi del proprio futuro individuale?
Ecco, mi pare di ricordare. E’ un processo che inizia col bombardamento d’immagini mediatiche fatto di main characters stilosi e armati, passa per i trailer dei prossimi FPS e finisce con i film e i goffi filmati degli assolutamente non credibili attori del primo Resident Evil (il gioco): il pensiero che devo aver formulato in quel preciso momento é stato "sparare quale metafora del timore di guardare in faccia il proprio incerto domani, sublimato mediante il lampo di un'arma da fuoco atto a rischiarare, per pochi brevi istanti, le incertezze della propria strada individuale che ognuno ha da percorrere, ineluttabilmente".
Si, era questo che avevo pensato osservando la postura plastica di Jill Valentine in posizione di tiro: spianarsi la strada con un arma puntata verso la zona buia dell'essere, come fanno i Solid Snake, i Dante e i Leon Kennedy... puntare l'arma a scanso di ogni fallimento/contaminazione dell'anima e della carne... uno zombie che sbuca improvviso... uno spettro... un disagio interiore da eliminare...
Uno sparare che nei videogames regali la parvenza di un illusorio, digitale scopo caratterizzato da un momentaneo forte senso esistenziale, giocando. Sparare quale metafora dell'incapacità di affrontare l'esistenziale incedere se non con un'arma puntata dinanzi a noi (possibilmente torcia-munita) che ne esorcizzi i timori, le sfiducie e l'umana debolezza di fondo…
Sparare.
E quando questi fantasmi diventano insopportabili, come le più buie paure e debolezze di Solid Snake, puntare infine l'arma verso se stessi.
Metaforicamente, s'intende.

E cosi via dunque, ancora e ancora, sino al prossimo videogioco, sino al prossimo video-trailer, al prossimo E3, al prossimo Tokyo Game Show, alla prossima recensione, al prossimo bio-shock…
Ovunque vi sia da puntare un'arma.
Ovunque vi sia da sparare.
Sparare.

A questo punto mi chiedo: ma davvero quel Marcus Fenix, cosi bruto e potente e che torreggia con le sue armi su tutti noi, è in parte una funzione in risposta alle nostre paure?
E Leon Kennedy? Chris Redfield?
E Lara Croft?
E tutti gli altri che li seguiranno?
Si tratta soltanto di icone, di simboli digitali, di modelli d'intrattenimento atti ad una prassi di sublimazione?
E il nostro giocare, il nostro difenderci dalle minaccie e l’uccidere attraverso loro, è davvero solo un'inconscia difesa dai timori del vivere, dalle pazzie dell'oggi e dall'incerto del nostro domani?

Per un breve, epifanico e introverso attimo filosofico mi é lucidamente parso così.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Che ne pensi della suggestiva ipotesi dei cervelli in vasca di Hilary Putnam (Brains in a Vat)?

Luigi Marrone ha detto...

Penso che mi ricorda tanto Matrix. O forse sarebbe Matrix che ricorda Putnam. Penso che il cyberspazio futuro comporterà i nostri cervelli in boll(etta), volutamente. Perduti forever in una allucinazione consensuale, collettiva e conscia. Penso che Nintendo vuole i nostri cervelli in bolla dietro la parvenza di gioco. Ogni interfaccia parla del potere persuasivo di un Io-Altro elettronico che vuole noi, il nostro corpo, il nostro cervello. Penso che Nintendo non ancora riesce a ingannarci i movimenti delle braccia con l'illusione totale del wii-mote, e le gambe col wii-fit, e l'anima col wii-wii....
Ma un giorno ci riuscirà. E io ci sarò. Perché il mio cervello é altamente fotogenico, e sul vetro della mia bolla voglio la scritta Nintendo.
E tu invece?
Che scritta ci vuoi?
:)