12 gennaio 2009

Il Product Placement di Ultimatum alla Terra e i Videogiochi: ideologie mediatiche a confronto.

(di Luigi Marrone)
Saggio pubblicato su Schermi Interattivi
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Il film in questione è Ultimatum alla Terra (2008 – regia di Scott Derrickson), di recente uscita nelle sale italiane e remake di The Day the Earth Stood Still (1951 -Robert Wise).
Nel 1951 la funzione principale della pellicola era quella di riflettere e allarmare indirettamente lo spettatore riguardo al blocco di potenze creatosi al principio della Guerra Fredda, attraverso un messaggio anti-militare proveniente da una entità aliena totalmente antropomorfa, Klaatu (Michael Rennie). L’alieno metteva in guardia le potenze della Terra sulla eventuale distruzione del genere umano se gli uomini non avessero cessato con la minaccia atomica che metteva a repentaglio l’esistenza del pianeta stesso e dei pianeti circostanti.
Oggi il messaggio del remake di Derrickson possiede un tono più apocalittico, lasciando intendere che l’eliminazione del genere umano è ritenuta necessaria data l’impossibilità di estirpare l’egoistica violenza interpersonale connaturata all’Uomo, la quale si ripercuote ovunque, dalle risorse della Terra alle specie viventi all’ecosistema globale tutto.
Durante le prime scene del film lo spettatore può notare che nella camera del figlio di Will Smith (Jaden Smith) fanno capolino leziose inquadrature di una miniatura di Master Chief in bellica posa, World of Warcraft in azione sullo schermo del suo portatile (Lg) e un poster semi-nascosto dietro una porta ove si riconosce il famoso anello di Halo sospeso nell’universo.
Successivamente vengono immortalati i servizi segreti americani, una Intelligence di autorità china ad osservare un ampio schermo tattico. Mentre l’intelligence discute sul da farsi vediamo affiorare il colorato logo di Windows sullo schermo: che si tratti forse di una ironica garanzia di stabilità ed integrità strutturale offerta da casa Redmond per i sistemi di Difesa più strategicamente delicati in America?
Infine, l’incontro tra il protagonista Klaatu (Keanu Reeves) e un altro alieno avviene nientemeno che all’interno di in un McDonald’s, con tanto di macchina da presa che indugia sulla inveterata insegna.
Lasciando ora da parte i due colossi summenzionati, il remake di Ultimatum alla Terra nasce ideologicamente con l’intenzione di essere un film esplicitamente moralizzante, in grado di scuotere la coscienza degli uomini mediante un messaggio incontrovertibilmente votato a schierarsi contro l’Uomo in senso assoluto: un’indagine veicolata sulla moralità della politica economica nel mondo e sulle conseguenze psico-sociali dell’egoismo del genere umano.
Il messaggio è piuttosto chiaro quanto delineato: tutti gli uomini sono chiamati in causa per loro natura, dalla coscienza anti-ecologica del singolo consumatore alle multinazionali che attraverso l’egemonia del potere capitalista fomentano l’industrializzazione sfrenata a scapito delle risorse terrestri, il concetto no-global è intrinsecamente connaturato al nucleo centrale della pellicola diretta da Derrickson.

Al fine di una integrità quantomeno ideologica (oltre che artistica) del testo, i grandi nomi erano l’ultima cosa da trattare, se non la prima da tralasciare. Ne risulta invece che gli stessi agenti ideologicamente chiamati in causa finiscono invece con l’auto-promuoversi attraverso una presenza che risulta quindi contraddittoria quanto imbarazzante.
Senza entrare nel merito dei rapporti di produzione e distribuzione che interessano il cinema e i VG, o il concetto di autorialità espressiva dissolto fra le dinamiche di arte e pubblicità, i videogiochi hanno per fortuna una relazione più ideologicamente comprensibile con la stessa.
In essi attualmente l’Advertising (o Advergaming) mira precipuamente ai giochi flash scaricabili gratuitamente dalla rete, grazie all’accordo tra Google e Mochi Media, un’azienda specializzata nell’inserimento di messaggi pubblicitari all’interno di giochi Flash.
Dal canto suo Microsoft ha siglato invece un'intesa con Electronic Arts in modo da portare la propria pubblicità sui titoli prevalentemente sportivi e comprensibilmente votati alla stessa (Madden, Nascar, Tiger Woods, Nhl, Skate…).
Grazie alla tecnologia di Massive acquisita da Microsoft, che permette di gestire in modo dinamico gli spazi destinati alla pubblicità nei mondi virtuali (tabelloni pubblicitari, schermi televisivi, le insegne dei negozi, contenitori di cibo e bevande), le immagini possono essere quindi aggiornate quasi in tempo reale, dove in precedenza il Product Placement avveniva invece per singoli VG nei quali erano inseriti marchi e prodotti all’interno del codice stesso (similmente ai film, ovvero immutabilmente su pellicola, con la relativa risultante artistica estetica/visuale data dal sapore dell’opera definitiva).
La tecnologia di Massive applicata ai VG va chiaramente oltre, permettendo di variare le inserzioni in base ai dati forniti dall'utente (sesso, età, preferenze di gioco) nonché di rilevare dati utili durante il gioco stesso, come ad esempio il tempo di esposizione verso specifici annunci.

Se da un certo punto di vista la monitorizzazione delle realtà virtuali che presumono un advertising tende a “spiare” appunto l’attività del gamer, il fenomeno è tutt’altro che allarmante.
A differenza del cinema il videogioco è difatti Lo spazio dinamico video-interattivo per antonomasia entro il quale tutto ciò che avviene sensorialmente grazie allo stesso determina polivalenti significati. Il testo di un VG è difatti una entità fluida, una continua riscrittura che il gamer ri-definisce ad ogni iterazione e con la quale finisce invevitabilmente con il “criticare” la realtà stessa attraverso ciò che nel gioco egli fa o non può fare.
La dimensionalità ludica (I.Fulco), ovvero ciò che si "può fare" in un videogioco equivale ogni volta ad una ri-definizione esegetica della realtà stessa a cui il gioco rimanda. Ogni possibilità d'azione data dal gioco al videogiocatore, quando questi la fa valere all’interno del VG, crea difatti un sub-universo topico, una condensazione esegetica di una data porzione di realtà (virtuale) che rimanda necessariamente a quella reale. Gran Turismo diviene quindi una esegesi critica del guidare nella realtà, Call of Duty dell’uccidere in guerra (o dell'omicidio uccidendo compagni) e Grand Theft Auto eventualmente anche quella del comportamento (civile o meno) di guida urbana o del denigrare l'attività di prostituzione, ad esempio. Qualsiasi cosa avvenga all’interno di un VG, persino gli stessi “salti” compiuti da Super Mario, i suoi goffi scivoloni o il modo di camminare sensuale di Lara Croft informano criticamente sul mondo reale al quale il Videogioco necessariamente rimanda attraverso il verbo di ogni sua singola manifestazione digitale.
Gli avatar del giocatore sono a tutti gli effetti dei canali, dei veicoli con i quali esprimere, contestualmente, un pensiero critico/esegetico che attraverso il virtuale rimanda al reale.

Per fare un esempio con Ultimatum alla Terra, se in un VG free roaming alla Grand Theft Auto e basato sull’universo del film il videogiocatore/Klaatu avesse avuto la possibilità di sparare contro l’insegna McDonald's, o addirittura disintegrarla, il possibile sub-aspetto semantico creato da questa azione contestuale avrebbe creato un significato autonomo diametralmente opposto al dispotico Product Placement del film, scongiurando di conseguenza l’assoggettamento al principio di controllo avanzato invece dalla pellicola in questione.
Il plot narrativo del videogioco è difatti una parafrasi della libera azione videoludica, e viceversa.
Ciò comporta che il senso ideologico del videogioco è per sua natura la libertà d’azione del videogiocatore, tanto più marcata quanto più viene concessa dai game designer e dalla creatività del giocatore stesso (fenomeno di gameplay emergente).
La libertà interattiva del gamer, vero e proprio co-autore del testo videoludico, attesta quindi già una ideologia di per sé, ontologicamente opposta alla fruizione passiva di un’esperienza puramente cinematografica.
Di per sé quindi l’esperienza videoludica scongiura intrinsecamente l’eventualità di un Product Placement indiscriminato, per i quali anche semplici spot fra un livello di gioco e l’altro, magari dopo l’ennesima cocente sconfitta con un boss di fine livello, produrrebbero un effetto di irritazione verso il gamer che finirebbe per risultare controproducente per la stessa azienda promotrice.

Al contrario del cinema quindi, l’attività videoludica rappresenta a tutti gli effetti una (v)ideologia refrattaria, lontana dalla promozione pubblicitaria indiscriminata, tanto più quanto la libertà di determinarne il testo risulterà fondante in futuro, come lo è oggi.

Da un punto di vista di coerenza squisitamente artistico/espressivo/concettuale invece, in quanto al remake di Ultimatum alla Terra l’originale vale innegabilmente di più.
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