9 aprile 2007

Mono o Multi-Ending? (Project Zero 2 inside)

Project Zero 2: una opinione sugli ending dei Videogames
(di Luigi Marrone)

Commuoversi non è cosa quotidiana. Figurarsi per un videogame poi.
Ma il finale di Project Zero 2 – Crimson Butterfly (Tecmo 2004 Playstation 2) può commuovere il videogiocatore.
C’è nulla da fare.
Similmente a come sa scuotere un film d’animazione giapponese attraverso quella particolare sagacia e maestria tutta orientale di lavorare a tal punto sui ritmi e sulla caratterizzazione di personaggi digitali, sino a far vibrare di stupore e senso di perfezione le corde sensibili dell’emozione umana, Project Zero 2 può commuovere il videogiocatore.
Una catarsi liberatoria post tensione accumulatasi, lenimento perfetto dei nodi cardiopalmici seccati dall’ansia, sospiro liberatorio del trapezista concentrato e fremente a conclusione di un salto/videogioco che, ultimo dei suoi doni artistici, é in grado di farsi risolutore narrativo dell'immersione nel virtuale nonché esempio di profonda coerenza testuale con l'intera esperienza di gioco.
Il fulcro della trattazione é presto delineata: terminare un’esperienza quale Silent Hill, attraverso un certo modo di giocare con una intensità piuttosto che un'altra, spesso non é indice di un determinato finale. Per quanto la comunità videoludica appassionata della saga Konami sappia (attraverso Walktroughs, Faqs) come ottenere determinati ending, Silent Hill non offre alcuna coerenza logica ben definita che permetta di prefigurarli durante il gioco, di ingenerarli.
Il problema però risiede altrove. E-Self si chiede se un’opera multifinale, caratterizzata da diversi epiloghi risolutivi, non indebolisca il portato emozionale globale facendo collassare su se stessa l'intera aspettativa videoludo-ingenerata, nonché la struttura suggestiva sulla quale ci si è sorretti sino a quel punto di gioco.
Ad esempio, quanto é indicativo che i finali di Silent Hill siano, su di un piano meramente “quantitativo”, emotivamente meno potenti o toccanti quanto quelli dei vari Project Zero?
Per quanto sia personalmente affezionato all’orrore di Silent Hill (played 1,2,3), non di rado accuso lo sconforto di constatare l’apertura di un’opera a più finali. Sarà forse il presentire che la globalità dell'esperienza videoludica potrebbe sfuggirmi dopo tutte le eventuali ore al gioco dedicate… un po’ come se non potessi sostanziare dell'opera qualcosa di fondamentale come appunto il suo sacrosanto finale, la sua ultima chiusa congedante.
Senza togliere merito alla bellezza di Silent Hill o alle scelte del multi finale, credo che nelle opere videoludiche caratterizzate dalla pregnanza narrativa di una certa storia a supporto, i finali siano fondamentali quali elementi determinanti per l’intera esperienza di gioco, assolutamente non trascurabili al fine di un giudizio/appeal globale dell’opera. Ma contrariamente a come avviene per i film, la natura del medium videoludico tende spesso a spingere i producer verso la scelta un multifinale, dato che la performabilità, l’agenza permessa da un videogioco dovrebbero idealmente garantire l'illusione di apertura e di libertà a tutti gli effetti, non fossilizzando il tutto su di un solo punto d'arrivo.
A questo si aggiunge un certo bisogno post-moderno di fare cinema / di performare il testo legato alla sfida dell’intelligibilità della trama o al ruolo delle rappresentazioni dell’inconscio in scena (vedi David Lynch), traslato nel fattore rigiocabilità nei videogiochi, possibilità che conducono inevitabilmente le software house all'opzione multifinale.
Se personalmente mi sento a favore di un solo buon finale, quando ad esempio non si tratti di Action-RPG come le opere della BioWare (Il Sentiero della Mano aperta o Palmo Chiuso in Jade Empire, la Forza e il Lato Oscuro in Knight of the old Republics – ossia scelte che fanno dell’antitesi un fondamento ideologico), provo più piacere nel vivere la storia di un gioco secondo una sola direzione, quasi fosse appunto UNA storia, che inizia ed ha 1 epilogo, per il quale si é contribuito a partecipare sino a quando il gioco lo ha permesso, fino a quando la storia è stata finalmente in grado di "camminare da sola", pronta per sfociare nel proprio ending dopo che l’intervento dell’utente ha giustapposto coerentemente tutti gli elementi al suo interno.
Con questo non intendo certo professare la credenza verso un modo meccanicista, razionale o unidirezionale di intendere l'interattività, bensì affermare soltanto che il portato emotivo di un gioco mono-finale, ben implementato, tende ad intridersi di più nell'utente, gratificandolo e toccandolo più energicamente.
Se si vuole, a commuoverlo più profondamente.

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