3 ottobre 2008

Una critica diversa, per giocare meglio.

(di Luigi Marrone)
Prima o poi l’affrancamento da una critica videoludica tradizionalista come quella ampiamente diffusa nell’attuale panorama culturale dovrà avvenire. 
Una cosa è certa: fin quando la terminologia dello hobbysta recensore farà la sua predominante comparsa, crogiolandosi in tassonomie di giudizio facili quanto consolidate, il videogioco non farà alcun passo da dove è sempre rimasto ancorato, vale a dire al proprio rigido e asettico determinismo estetico capace di mozzare l’innesto e l’importanza culturale che potrebbe iniettare in seno agli altri sistemi artistici.
Trattando di opere multimediali, la critica in ambito videoludico potrebbe invece ricoprire una funzione fondamentale in tal senso, fungendo da contraltare al superficiale - culturalmente parlando - giudizio popolare, nobilitando opere e progetti artistici caratterizzati da sviluppo di svariati anni e ingenti investimenti di risorse umane e finanziarie dietro i medesimi.
È importante valorizzare culturalmente i videogiochi. È importante convincersi che il ruolo del critico di videogiochi andrebbe del tutto ripensato.
Esiste un vizio mefitico, troppo stratificato da smantellare.
La critica videoludica non tratta solo della necessità primaria di consigliare l’utenza all’acquisto di costosi “videogiochi”, veri e propri beni di lusso con l’immenso potere di muovere macro-economie sul breve/medio termine influendo sulle micro-economie finanziarie del singolo consumatore.
La critica videoludica comporta l’esigenza di indurre a ripensare la Cultura oltre Videogioco, sì da garantirle una dignità autorevole, quando accostata alla critica culturale generata dalle altre Arti, scongiurando in tal modo, tra l’altro, qualsiasi possibile ghettizzazione.
L’esperienza videoludica, sia in fase di produzione che di consumo, è cosa seriosamente giocosa quanto impegnativa e culturale, pertanto, quando criticata, non dovrebbe continuare ad essere (quasi sempre, come accade) compressa in aspetti comodi e codificati quali le categorie di giudizio comunemente presenti nella maggioranza degli enunciati critici: dal gameplay alla grafica, sonoro e longevità, ecc…
Tali sub-aspetti, ed è inutile giravi troppo intorno, trattano di termini parziali che non “elevano” assolutamente il gioco in sé, tantomeno possono esprimerlo globalmente in comode sintesi numeriche.
Affermando questo, non si vuole assolutamente puntare l’attenzione sulla pratica e l’utilità o meno del voto in calce alla recensioni, o delegittimare un abuso terminologico in tal senso, bensì fornire uno spunto di riflessione sulla relatività di tale abitudine.
Non sarebbe più stimolante se si vedesse più spesso la critica videoludica come un apporto multidiretto, a più livelli polivalenti, fra tutte le arti quando possibile? Nel criticare una data opera quindi, non si potrebbe andare oltre i limiti di riferimento della videoludica stessa, “Beyond The PlayVerse”, sconfinando oltre il “gioco in sé”?

Esempio: la critica d'Arte


Posto di fronte ad un dipinto, un buon critico d’Arte non si muoverà nel testo critico restando solo in ambito pittorico, chiamando cioè in causa solo ed esclusivamente il genere “Pittura” per avanzare una analisi critica comparata. Tale critico scomoderà, in un discorso culturale polisemicoe globalmente inteso, varie categorie artistiche che spaziano dalla letteratura all'architettura, dal cinema alla musica alla religione qualora fosse necessario, affinché la dignità dell’opera d’arte risalti di una vocazione e di una importanza autoriale che ne determinino un valore quantomeno complessivo, culturalmente multi-costituito e infine unico, di sostanza.
In sede d'analisi vengono altresì scomodati gli aspetti psicologici e sociali dell’autore dell’opera, i contesti storici e le influenze artistiche sincretiche alla formazione dell’opera stessa.
Se è vero che la definizione di Autore Videoludico è ovviamente problematica in quanto, oltre al limite tecnologico, le software house rappresentano realtà “corporative” nelle quali la visione autoriale rischia di naufragare nei complessi rapporti di produzione e distribuzione del mercato (oltre alla difficoltà di rintracciarla in un team di lavoro di centinaia di persone dotate di competenze e sensibilità disparate), c'è da constatare quanto siano pochissimi i recensori “specializzati” che possono affermare di promuovere lo stesso discorso polisemico, anche in minime percentuali, per il Videogioco.
Da un punto di vista editoriale, C'è chi scrive recensioni in cinque minuti, basandosi su impressioni epidermiche, e facendo ruotare il discorso sul 10% di uso delle proprie meningi.
C'è chi invece produce un'analisi polivalente, interessante.
Ma è bene ricordare che anche in ambito videoludico, per qualsiasi artefatto esistente che si voglia analizzare (che si chiami Pong, Rez, Metal Gear o Giulia Passione Top Model), ci sarà sempre spazio per un apporto trasversale che nobiliti il sostrato del codice oltre i confini puramente ludici del mero gioco in sé.
Questo spazio purtroppo non viene quasi mai indagato per non dire ignorato dalla stragrande maggioranza del sistema critico generatosi nel tempo attorno al videogioco (se di sistema si vuol parlare).

Levels - Questioni di cultura e sensibilità
Esistono diversi livelli di gioco, come esistono diversi livelli di competenza nel leggere il testo e fruire del videogioco stesso. Ma il saper leggere lo stesso libro sino alla fine, per due lettori differenti, non comporta affatto il saperne fare esperienza allo stesso modo. Per tale motivo impugnare un mouse o un pad e mettersi a giocare allo stesso gioco non è cosa uguale per tutti i gamers.
Non si tratta solo di competenze nel senso di skill, abilità o “bravura” nel portare a termine il gioco, bensì del “viaggio” fisico e mentale, nonché ludico/culturale, attraverso cui si vive il videogioco.
È fin troppo semplice presumere che da diversi videogiocatori possano provenire critiche al gioco diverse. Ma se la stragrande maggioranza delle analisi critiche sembrano tutte uguali, è perché l’esperienza critica riguardo al videogioco si è formata su di un ambito culturale di riferimento superficialmente denso, poco polisemico, per la maggior parte generato a partire da una refrattarietà intellettuale verso certi strumenti critici che si è fatta endemica, generale.
Se tutto ciò si rinnovasse, cosa accadrebbe a quel punto alla Cultura del Videogioco?
Rinnovando gli strumenti critici videoludici, e di conseguenza la stessa visione critica del/per il videogioco, non muterebbe forse anche la qualità dell’esperienza che si fa del gioco stesso?

Esempio personale: un gioco di guida.
Nell'affermare di stare giocando a SBK08 – SuperBike World Championship, è doveroso premettere quanto non sia mai stato particolarmente interessato a corse di moto e auto, e ai relativi videogiochi ancor meno. Non è un mistero che io non possegga alcun racing simulativo nella mia ludoteca. Ciò che guido più volentieri sono i veicoli di Grand Theft Auto nelle fasi di “guida”, appunto, e nient’altro.
Imbattendomi in una recensione online di un videogiocatore che, lo si intuisce dal testo, è un appassionato di videogiochi racing (da una ricerca postuma ho poi scoperto che gli vengono affidati quasi tutti i racing da recensire), è avvenuta la magia.
Seppur tale critico abbia espresso toni affatto entusiastici per il titolo in questione, la cognizione per la materia insita nelle sue parole mi ha fatto infine optare per la “prova” del gioco, il volerne fare “esperienza” appunto.
Si può dire che la sua trattazione sia un vero e proprio intervento culturale.
Oggi potrei sicuramente affermare di saperne di più, virtualmente s’intende, di sospensioni, bilanciamento, compressioni di varianti, assetto e staccate. L’esperienza su pista mi ha definitivamente coinvolto quanto “istruito” su questo universo di bolidi a 2 e 4 cilindri, e tutto questo grazie ad un testo competente, caratterizzato tra l’altro, tengo a precisarlo, da un commento finale senza alcun voto.
Mai però oggi potrei permettermi di recensire un videogioco di racing simulativo, pur avendone la possibilità di giocarne ed esperirne l’essenza a fondo. Questo perché riconosco quanto personalmente io difetti del substrato culturale che risulterebbe complementare quanto indispensabile per una trattazione critica qualificata.

Questions
Ma quante volte NON si è data una chance ad un prodotto, magari per un rifiuto a “pelle” verso le immagini o verso lo schermo allagato di statistiche di gioco, per una divergenza con la nostra sensibilità data dal contesto del gioco stesso?
E quante esperienze sono state scartate a causa di una recensione terminata con un voto appena discreto, che ha orientato poi verso l’acquisto di altro?
Potrebbe essere questo ciò di cui produttori di videogiochi dovrebbero riflettere.
Se la critica sapesse nobilitare più esaustivamente, in termini culturali, l’esperienza videoludica in sé, chiamando in causa altri aspetti meta-ludici, quanti più gamers, assimilando un testo critico, si avvicinerebbero meno superficialmente e più incuriositi verso un determinato videogioco, incrementando il proprio interesse, la propria complicità e il relativo coinvolgimento per il videogioco stesso?
Produrrebbe forse più passione, più numeri, più economia e una più diffusa voglia di giocare, una migliore cultura critica?
O forse diverrebbe solo uno sfoggio di cultura pedante, mal confacentesi alla equazione “Videogioco = intrattenimento spensierato” da cui storicamente il medium non riesce ad affrancarsi?
In ogni caso, la questione rimane aperta.

Così come avviene per i testi generati da altri sistemi critici, potrebbe essere solo un bene se la critica videoludica si facesse latrice di un ampliamento culturale per il videogiocatore, trasformandosi in uno strumento per conoscere (il mondo) partendo dall’analisi del gioco stesso. Oltre a donare automaticamente più dignità alla prassi del videogiocare.
Seppure non sia questa la sede per analizzare i comunemente intesi ambiti di riferimento del consumatore (VG = semplicemente Gioco = bambini) o la stessa onomastica fuorviante e idisioncratica verso l’esperienza videoludica stessa (“Videogioco” appunto), il videogioco è quasi sempre risultato lontano da tali traguardi culturali, lontano dal suscitare i dovuti stimoli intellettuali in tal senso. E la dilagante quanto miope superficialità della visione critica in ambito videoludico non ha aiutato di certo.
Nonostante gli strumenti per un approfondimento trasversale ci siano tutti, da Internet ai film ai libri e svariati testi saggistici ampiamente accessibili sulla Rete, per la stragrande parte il medium continua a zoppicare maldestramente sulla scena, quando viene fatto danzare assieme alle altre Arti.

E’ necessario dunque riconoscere l’urgenza di una vera scuola di pensiero per i critici videoludici d’arte. una scuola di pensatori “trasversali” appunto, che inneggi ad una cultura multi-disciplinare oltre che sostenuta da mera passione per il Gioco.
Perché se è vero che qualsiasi videogioco, come del resto ogni altro artefatto artistico, necessita di una “critica” d’arte sagace nel nobilitare l’esperienza del giocare in in sé, lo sdoganamento culturale passa obbligatoriamente per una relativa produzione testuale di gran lunga diversa da come si è abituati a leggere in modo cosi diffuso.
Staremo a vedere, almeno questo è sicuro.