25 novembre 2009

Assassin's Creed 2: Rinascimento e (è?) fantascienza.

di Luigi Marrone


Finalmente lo spettacolo estetico incontra l’inappuntabile ritmo di gioco. E assieme arrivano una Italia cruda e senza fronzoli, una vendetta ammantata di profezia e un particolare riguardo alle rivendicate critiche del primo capitolo.
Questo è il Gioco dell’assassino.
Sarà colpa della San Gimignano del 1400, della Venezia assaltata dai Borgia e dalle comparsate storiche che strappano via via più di un sorriso, resta il fatto che tale Assassin’s Creed è ormai consolidato come science fiction contornata di passato, di merletti e psico-poteri ancestrali, di setting storico e scienza digitale assieme.
Ed è cosi che una delle peculiarità del videogioco torna con prepotenza: il viaggio stanziale. Siamo a Damasco, Gerusalemme, Firenze, Venezia… e siamo davanti le nostre console.
Livelli di dettaglio molto alti, scrittura ludo-estetica sopraffine e totalmente intrisa di compagini segrete ammalate di Chiesa, di Vaticano, di religione e simonismi. Il setting italiano risorgimentale lascia basiti. Sensazioni di luce che si posa in calde falde su Firenze, cielo plumbeo e umidità in Forlì. Ma stavolta non è di solo sole che ci si può bagnare. Oltre che nell’Arno si è immersi nel senso esploso del potere , del frutto della Conoscenza che rapisce come fa l’anello di Mordor.
Il leit motiv dell’Assassino è uno: Niente è vero, tutto è lecito
Così Ubisoft può sparare frecce avvelenate in faccia alla Chiesa, alla Creazione, al Cosmo e alla Verità Prima, più che ultima. Tutto è riscritto, la storia di una famiglia fiorentina, la storia dell’Italia rinascimentale, la cosmogenesi del mondo intero. Il frutto della conoscenza è d’oro, o prefabbricato in ottone che piscia fuori luce fluorescente. Non ha importanza. Scalogna e fantascienza convivono, come vive il potere perpetrato nei secoli, nelle dittature, le guerre, nelle scomode invenzioni che avrebbero annientato chi al mondo questo potere lo detiene.
Il messaggio è uno: L’uomo deve essere protetto dalla Luce e dalla Verità. Nikola Tesla vien fatto tacere come il Mahatma Gandhi, affinchè il mondo rivoluzionato dalla coscienza e dalla conoscenza sia fiancheggiato dal controllo e dall’uccisione della verità.
Con la religione l’uomo s’inganna. E’ fuori strada in quanto al proprio creatore.
Al solito, pochi sanno e pochissimi controllano. E la gente intanto muore.
Scende il profeta sulla terra, un cristo ammantato da vesti di Assassino, un fiorentino della famiglia Auditore, e tutto può cambiare. Non c’è più Allah né Budda né Maometto né Gesù. C’è solo Ezio e il Creatore, sotto al Vaticano.
L’idioma toscano fiorentino e la parlata veneziana ovviamente non vi sono. Leonardo Da Vinci è un giovane affabile amico, che parla moderno. Quindi i cantori a rima forzata muniti di mandolino fanno scuotere il capo con un mezzo sorriso. C’è poi la malata ossessione, quella fastidiosa bava hollywoodiana nello scontro finale, tra un Vai a farti fottere e un Rodrigo Borgia, alias Papa Alessandro VI che a 73 anni si muove e combatte come una gazzella cazzuta, quasi una idiosincrasia di fondo debba sempre sgomitare con la sobrietà di certi passaggi giocati che sino a poco prima hanno positivamente sorpreso il racconto ludico.
Fa nulla però. Perché l’action figure di Ezio Auditore è sublime, le corse sui tetti argillosi convivono con musiche gasanti, e per il resto c’è da vivere una avventura, un senso di libertà, di scoperta e complicità dentro una Italia in balìa del Tutto che attualmente non ha eguali.
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E’ il Credo dell’Assassino, questo.
Giocare per credere.
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